cominciamo col capire chi lavora a cosa

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cominciamo col capire chi lavora a cosa

associazioni o singoli che intendono portare avanti il gruppo di lavoro:

 

 

1)un ponte per..

2)ciccio svelo

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cominciamo col capire chi lavora a cosa

associazioni o singoli che intendono portare avanti il gruppo di lavoro:

 

 

1)Luciana

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report 27 maggio 2008

27 maggio 2008

chiesa degli ottimati

abbiamo finalmente deciso i primi gruppi di lavoro…eccoli qui:

1)FURTI DI DEMOCRAZIA E RECUPERI DI DEMOCRAZIA IN VITA DI UN ASOCIETA’ INTERCULTURALE

razzismo

2)’NDRANGHETA

mafie

3)ACQUA, RIFIUTI E ENERGIA

rifiuti

i gruppi cominceranno a lavorare in forma autonoma al più presto.

ogni singolo o associazione deciderà in libertà a che commissione aderire.

il lavoro verrà presentato alla fine del cammino(sei,sette,otto mesi)alla comunità reggina.

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report 16 maggio 2008

16 maggio 2008

sede scout parrocchia di san bruno

>dopo ampie discussioni abbiamo finalmente scelto la tematica(GESTIONE > DIRETTA DEL
BENE PUBBLICO,PER UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATA) e la modalità  di lavoro. C’è
la bisogna di dividerci in commissioni o gruppi di > lavoro, prendendo spunto da
quelle già presenti in rete lilliput a  livello nazionale e cercando di
riadattarle al territorio, proponiamo:Ambiente e territorio>Finanza
etica-economia sostenibile-GAS> In… formAZIONE> >………..proponete

 

 


voi!!!simpatia

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report 9 maggio 2008

9 aprile 2008

sede scout parrocchia di san bruno                        

           

l’attenzione è stata posta in particolare
sulla funzione che la Rete avrà:

1. non sarà un fine ma un mezzo per cercare di operare
comunitariamente e nel pieno rispetto delle diversità
d’opinione
2. un tavolo permanente di dialogo tra le associazioni e
realtà locali che operano e si sporcano le mani nella
realtà cittadina
3. un luogo nel quale si sperimentano nuove strade e nuove
possibilità per l’azione politica e sociale
4. un centro di scambio di informazioni

Spero non sarà solo questo,spero sarà molto altro,ciò che mi
conforta è che saremo NOI gli artefici di questa rete e quindi
tocca solo a noi essere propositivi e trovare la metodologia
giusta per un  lavoro sereno e proficuo gia dalla prossima
riunione(credo sia utile che venerdì ognuno porti una serie di
proposte-"emergenze"sulle quali cominciare a lavorare)
un abbraccio
Luca e Saso

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giornate attivismo amnesty

ENTRA IN AZIONE CON AMNESTY INTERNATIONAL!
FATTI FOTOGRAFARE
PER LIBERARE I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI DETENUTI IN CINA
24 – 25 maggio 2008 dalle ore 17:30 – Piazza San Giorgio al Corso
Giornate dell’Attivismo – Amnesty International

Sabato 24 e domenica 25 maggio, in tutt’Italia, migliaia di soci e simpatizzanti di Amnesty International prenderanno parte alla III edizione delle Giornate dell’Attivismo.
Le Giornate dell’Attivismo intendono promuovere la partecipazione attiva ad Amnesty International, coinvolgendo le persone già iscritte e quelle che si iscriveranno o si avvicineranno all’associazione nel corso del fine settimana, nelle campagne del principale movimento mondiale in difesa dei diritti umani.
Quest’anno, le Giornate dell’Attivismo saranno dedicate alla campagna “Pechino 2008. Olimpiadi e diritti umani in Cina”. I Gruppi locali di Amnesty International, tra cui anche quello di Reggio Calabria, organizzeranno iniziative per esprimere solidarietà ai difensori dei diritti umani che sono in carcere per aver denunciato le violazioni commesse nel periodo pre-olimpico e per ottenere la loro immediata scarcerazione. La tutela dei difensori dei diritti umani cinesi rientra tra gli obiettivi della campagna relativa alla Cina, unitamente al riconoscimento della libertà di espressione, all’adozione di leggi che garantiscano un processo equo ed imparziale e all’abolizione della pena di morte.

Sabato 24 e domenica 25 maggio sarà proposto alla cittadinanza di farsi fotografare accanto al volto di un difensore dei diritti umani cinese perseguitato in Cina. Un modo simbolico per sostenerlo, spendendo il proprio volto per la loro libertà.

Le Giornate dell’Attivismo rappresentano un altro forte richiamo alla Cina, affinché rispetti l’impegno di migliorare la situazione dei diritti umani, assunto nel 2001 di fronte al Comitato olimpico internazionale, al momento dell’assegnazione dei Giochi olimpici del 2008. Questo richiamo avrà i nomi e i cognomi di Bu Dongwei, Shi Tao, Chen Guangcheng e Ye Guozhu, uomini condannati da leggi che negano l’esercizio di diritti fondamentali e in favore dei quali saranno raccolte delle firme.

Bu Dongwei. (noto anche come David Bu) il 19 giugno 2006 è stato condannato a due anni e mezzo di “rieducazione attraverso il lavoro” a Pechino per "aver ostacolato l’applicazione della legge nazionale e aver disturbato l’ordine sociale " dopo che la polizia aveva ritrovato nella sua abitazione opuscoli del movimento Falun Gong.

Shi Tao è un giornalista condannato a dieci anni di reclusione per avere diffuso via internet la direttiva del governo cinese che invitava i media a non riportare opinioni contrarie alla politica del governo, in occasione dell’anniversario dei fatti di piazza Tienanmen. La complicità di Yahoo, che ha fornito i dati di Shi Tao al governo cinese, ha reso possibile l’arresto e la condanna nel 2005 del giornalista, tuttora detenuto nel carcere di Chishan e costretto ai lavori forzati.

Chen Guangcheng, consulente legale non vedente, protagonista di campagne contro la pianificazione familiare forzata, è stato condannato nell’agosto 2006 a quattro anni e tre mesi di reclusione per “danneggiamento di proprietà pubblica e assembramento di persone per bloccare il traffico”. Prima del processo aveva trascorso un anno agli arresti domiciliari.

Nel 2003 alcuni ufficiali del distretto di Xuanwu a Pechino si sono alleati con i costruttori e hanno forzato i residenti a trasferirsi in un’altra zona della città. Tra le proprietà sgomberate vi erano un ristorante e un alloggio per i quali Ye Guozhu non ha ancora ricevuto un adeguato risarcimento.
Il 24 agosto 2004, Ye Guozhu ha chiesto il permesso ufficiale per una manifestazione pubblica. Il 18 dicembre è stato, per questo, accusato di “disturbo dell’ordine pubblico” ed è stato condannato a quattro anni di carcere; condanna poi confermata in appello.

Il movimento di Amnesty International operante per la difesa dei diritti umani da decenni grazie all’impegno di migliaia di attivisti che raccolgono firme, si confrontano, sensibilizzano, diffondono informazioni e testimonianze, danno voce ai tanti che subiscono violazioni dei diritti fondamentali e che spesso trovano solo nell’opinione pubblica internazionale una solidale e attenta interlocutrice. Le giornate dell’attivismo costituiranno una nuova occasione non solo per queste singole persone ma per quanti quotidianamente rischiano nell’esercizio delle loro libertà fondamentali. Il gruppo reggino di Amnesty International sarà quindi in piazza per un nuovo confronto e per proporre un nuovo impegno da condividere nel segno di un’indignazione che deve necessariamente crescere e acquisire la forza e il volto del cambiamento.
Reggio Calabria, 22 maggio 2008

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LE DONNE DEL KERALA CONTRO LA COCA-COLA

LE DONNE DEL KERALA CONTRO LA COCA-COLA
Il racconto di Vandana Shiva sulla campagna di protesta indiana
Autore: Vandana Shiva, direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology (India), autore in particolare di La guerra dell’acqua, Feltrinelli, 2003, e di Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, 2002
Testata: Le Monde Diplomatique (versione italiana distribuita con Il Manifesto del 14 Marzo 2005)
Data: 14 Marzo 2004
Documenti collegati: La Sentenza della Corte Suprema del Kerala del 16 Dicembre 2003 che ordina alla Coca Cola di fermare l’estrazione dell’ acqua di falda
Espulsa dal governo indiano nel 1977, la Coca Cola ha rimesso piede nel paese il 23 Ottobre 1993, quando vi si insediava l’altra multinazionale americana, la Pepsi Cola. Attualmente le due imprese  possiedono novanta stabilimenti "d’ imbottigliamento", che in realtà sono…"di pompaggio": 52 appartengono alla Coca Cola e 38 alla Pepsi Cola. Ognuno di essi estrae da 1 a 1,5 milioni di litri d’acqua al giorno.
Questo genere di bevande gassose presenta rischi certi, derivanti dallo stesso processo di fabbricazione. Prima di tutto gli stabilimenti d’imbottigliamento, pompando acqua dalle falde, tolgono ai poveri il diritto fondamentale a procurarsi acqua potabile. Inoltre, generano rifiuti tossici che minacciano l’ ambiente e la salute pubblica. Infine, producono bevande notoriamente pericolose per la salute – il Parlamento indiano ha costituito una commissione parlamentare mista incaricata d’indagare sulla presenza di residui di pesticidi.
Per più di un anno, nel distretto di Palaghat, nel Kerala, alcune donne della tribù di Plachimada hanno organizzato sit-in di protesta contro il prosciugamento delle falde freatiche provocato dalla Coca Cola. "Gli abitanti – scrive Virender Kumar, giornalista del quotidiano Mathrubhumi – si caricano sulla testa grandi quantità di acqua potabile, da andare a cercare sempre più lontano, mentre camion pieni di bevande gassose escono dallo stabilimento della Coca Cola (1)". Per fare un litro di Coca Cola sono necessari nove litri di acqua potabile.
Le donne adivasi (2) di Plachimada hanno iniziato ad organizzarsi poco dopo l’apertura dello stabilimento della Coca Cola la cui produzione doveva raggiungere, nel marzo 2000, 1.224.000 bottiglie di Coca Cola, Fanta, Sprite, Limca, Thums Up, Kinley Soda, e Maaza. Il panchayat locale (3) aveva concesso alla multinazionale, sotto condizione, l’autorizzazione ad attingere acqua con l’aiuto di pompe a motore. Ma la multinazionale, del tutto illegalmente, dopo aver scavato più di sei pozzi attrezzandoli con pompe elettriche ultra potenti, ha iniziato a pompare milioni di litri di acqua pura. Il livello delle falde è drasticamente sceso, passando da 45 a 150 metri di profondità.
Non contenta di rubare acqua alla collettività, la Coca Cola ha inquinato il poco che ne rimaneva convogliando le acqua sporche nei pozzi a secco scavati nello stabilimento per sotterrare i rifiuti solidi. Prima, l’impresa depositava i rifiuti in superficie, cosicché nella stagione delle piogge questi ultimi, disperdendosi fra risaie, canali e pozzi, costituivano una gravissima minaccia per la salute pubblica. Oggi non è più così. Ma la contaminazione delle sorgenti di acqua resta un dato di fatto.
Con le sue procedure, la Coca Cola ha provocato il prosciugamento di 260 pozzi, la cui trivellazione era stata eseguita dalle autorità per sopperire al bisogno di acqua potabile e all’irrigazione agricola. In questa regione del Kerala, definita "il granaio del riso" proprio perché si tratta di un ecosistema ricco e ben fornito di acqua, le rese agricole sono diminuite del 10%. Il colmo è che la Coca Cola ridistribuisce agli abitanti dei villaggi, sotto forma di concime, i rifiuti tossici prodotti dal suo stabilimento. I test effettuati hanno infatti dimostrato che questi concimi hanno un’alta percentuale di cadmio e piombo, due sostanze cancerogene.
Rappresentanti delle tribù e dei contadini hanno denunciato non solo la contaminazione delle riserve acquifere e delle sorgenti, ma anche le trivellazioni senza criterio che compromettono gravemente i raccolti; hanno richiesto, in particolare, la protezione delle tradizionali sorgenti d’acqua potabile, degli stagni e dei vivai di pesci, la manutenzione delle vie navigabili e dei canali, il razionamento dell’acqua potabile.
Invitata a fornire spiegazioni sul suo operato, la Coca Cola ha rifiutato al panchayat i chiarimenti richiesti. Di conseguenza, quest’ultimo le ha notificato la soppressione della licenza di sfruttamento delle acque. Per tutta risposta, la multinazionale ha cercato di comprarne il presidente, Anil Krishnan, offrendogli 300 milioni di rupie. Inutilmente.
Tuttavia, mentre il panchayat le ritirava il permesso di sfruttamento, il governo del Kerala, da parte sua, ha continuato a proteggere l’impresa. Non a caso le ha concesso circa 2 milioni di rupie (36.000 euro) a titolo di sovvenzione alla politica industriale regionale. La Pepsi e la Coca Cola ricevono aiuti simili in tutti gli stati in cui sono presenti. E questo per bibite il cui valore nutrizionale è nullo rispetto a bevande indiane tradizionali (ninbu pani, lassi, panna, sattu…).
L’industria delle bibite gassose utilizza sempre più lo sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio. Non solo questo edulcorante è nefasto per la salute ma lo stesso mais viene coltivato per produrre industrialmente alimenti per il bestiame. UN grande quantità di mais viene quindi sottratta al consumo alimentare, privando alla fine i poveri di un prodotto base essenziale e a buon mercato. Per di più, la sostituzione di dolcificanti estratti dalla canna da zucchero, come il gur e il khandsari, danneggia i contadini ai quali questi prodotti garantivano redditi e mezzi di sussistenza, In sintesi, la Coca Cola e la Pepsi Cola provocano, sulla catena alimentare e sull’ economia, un impatto pesante che non si limita al contenuto delle bottiglie.
Nel 2003, le autorità sanitarie del distretto hanno informato gli abitanti di Plachimada che l’acqua, ormai inquinata, non poteva essere usata per scopi alimentari. Le donne erano state le prime a denunciare questa "pirateria idrica" nel corso di un dharna (sit-in) di fronte ai cancelli della multinazionale.
Nato per iniziativa delle donne adivasi, il movimento ha attivato, non solo a livello nazionale, ma mondiale, un crescendo di solidarietà. Incalzato dall’espandersi del movimento e dalla siccità che ha ulteriormente aggravato la crisi idrica, finalmente, il 17 febbraio 2004, il capo del Governo del Kerala ha ordinato la chiusura dello stabilimento della Coca Cola. Le alleanze arcobaleno, nate inizialmente tra le donne della regione, hanno finito con il coinvolgere tutto il panchayat. Non solo, quello di Perumatty (nel Kerala), ha presentato, in nome del pubblico interesse, un’ istanza contro la multinazionale presso il tribunale supremo del Kerala.
Il 16 Dicembre 2003, il giudice Blakrishnana Nair ha ordinato alla Coca Cola di smettere di pompare illegalmente dalla falda di Plachimada. Le motivazioni della sentenza valgono quanto il verdetto stesso. Il magistrato infatti ha voluto precisare: "La dottrina della pubblica sicurezza si basa innanzitutto sul principio per cui alcune risorse come l’aria, l’acqua del mare, le foreste abbiano, per l’insieme della popolazione, un’importanza così grande, che sarebbe totalmente ingiustificato farne oggetto di proprietà privata. Le suddette risorse sono un dono della natura e dovrebbero essere messe a disposizione di tutti in modo gratuito, indipendentemente dalla posizione sociale. Poiché tale dottrina impone al governo di proteggere queste risorse, in modo che l’insieme della collettività possa usufruirne, nessuno può autorizzarne l’utilizzo da parte di  privati a fini commerciali […]. Tutti i cittadini senza eccezioni sono i beneficiari delle coste, dei corsi d’acqua, dell’aria, delle foreste, delle terre fragili da un punto di vista ecologico. In quanto amministratore, lo stato, per legge, ha il dovere di proteggere le risorse naturali [le quali] non possono essere trasferite alla proprietà privata".
In sintesi: l’acqua è un bene pubblico. Lo stato e le sue diverse amministrazioni hanno il dovere di proteggere le falde freatiche da uno sfruttamento eccessivo, e la loro inazione in materia è una violazione al diritto alla vita garantito dall’articolo 21 della Costituzione indiana. La Corte suprema ha sempre affermato che il diritto a usufruire di un’acqua e di un’aria non inquinate fa parte integrante del diritto alla vita stabilito dal suddetto articolo. In altre parole, anche in assenza di una legge che regoli specificamente l’utilizzazione delle falde freatiche, il panchayat e lo stato sono tenuti ad opporsi allo sfruttamento intensivo di queste riserve sotterranee. E il diritto di proprietà della Coca Cola non si estende alle falde situate sotto le terre che le appartengono. Nessuno ha il diritto di appropriarsi della maggior parte dell’ acqua, e il governo non ha alcun potere di autorizzare un terzo privato ad estrarne tali quantità.
Da qui i due ordini emessi dal tribunale: entro un mese la Coca Cola dovrà progressivamente smettere di pompare acqua per suo uso; passato questo termine, il panchayat e lo stato garantiranno l’applicazione della sentenza.
La rivolta delle donne, che sono il cuore e l’anima del movimento, è stata ripresa da giuristi, parlamentari, scienziati e scrittori… Il movimento si è esteso ad altre regioni, dove la Coca Cola e la Pepsi pompano le riserve acquifere a danno degli abitanti.
A Jaipur, la capitale del Rajahstan, dopo l’apertura, nel 1999, dello stabilimento della Coca Cola, il livello delle falde è passato da dodici metri di profondità a trentasette metri e cinquanta. A Mehdiganj, una città a venti chilometri di distanza dalla città santa di Varanasi (Bénarès), è sceso di dodici metri e i campi coltivati attorno allo stabilimento sono oramai inquinati. A Singhchancher, un villaggio del distretto di Ballia (nell’ est dell’ Utar Pradesh), lo stabilimento della Coca Cola ha inquinato definitivamente acqua e terre.
Ovunque la protesta si organizza. Ma va sottolineato che, nella maggior parte dei casi, le autorità pubbliche reagiscono con violenza alle manifestazioni. A Jaipur, per esempio, il militante pacifista Siddharaj Dodda è stato arrestato nell’ Ottobre del 2004 per aver partecipato ad una marcia che chiedeva la chiusura dello stabilimento.
Catene umane intorno agli stabilimenti
Al prosciugamento dei pozzi si aggiungono  i rischi di contaminazione da pesticidi. Il tribunale supremo del Rajahstan ha proibito la vendita delle bibite prodotte da Coca Cola e Pepsi, perché queste ultime si sono rifiutate di fornire una lista dettagliata dei componenti, quando alcune analisi hanno dimostrato la presenza di pesticidi pericolosi per la salute (4). Le due multinazionali hanno presentato ricorso alla Corte suprema dell’ India, ma questa ha rifiutato l’appello e ha convalidato la richiesta del tribunale del Rajahstan, ordinando la pubblicazione della composizione precisa dei prodotti fabbricati dalla Pepsi e dalla Coca. A tutt’oggi queste bevande sono proibite nella regione.

Uno studio, condotto nel 1999 da All India Coordinated Research Project on Pesticide Residue (Aicrp), ha dimostrato che il 60% dei prodotti alimentari venduti  sul mercato è contaminato da pesticidi e che il 14% ne contiene dosi superiori alla quantità massima autorizzata. Una tale constatazione rimette in discussione il mito secondo cui le multinazionali privileggerebbero la sicurezza e l’ affidabilità, il che le renderebbe degne di una fiducia rifiutata al settore pubblico e alle autorità locali! Questo pregiudizio elitario contro l’ amministrazione pubblica di beni e servizi ha contribuito a fare accettare la privatizzazione dell’ acqua. In India, come altrove nel mondo, il ricorso ai privati impedisce di fornire acqua di qualità a un prezzo abbordabile.

Il 20 Gennaio 2005, in tutta l’ India, attorno agli stabilimenti della Coca Cola e della Pepsi Cola, sono state organizzate delle catene umane. Tribunali popolari hanno notificato agli "idro-pirati" l’ordine di lasciare il paese. Il caso di Plachimada dimostra che il potere del popolo può avere la meglio su quello delle imprese private. I movimenti per la difesa delle acque, peraltro, si spingono ben oltre. Vogliono parlare anche delle dighe, e del grande progetto di collegamento fluviale i cui piani prevedono la deviazione del corso di tutti i fiumi della penisola indiana, suscitando un’ opposizione crescente (5). Denunciano le privatizzazioni incentivate dalla Banca Mondiale e la privatizzazione della fornitura d’ acqua e New Delhi (6). Bisogna infatti sottolineare che il saccheggio non potrebbe aver luogo senza l’ aiuto di Stati centralizzatori e corporativi.
La Battaglia contro il furto dell’ acqua non riguarda solo l’ India. L’eccessivo sfruttamento delle falde freatiche, i grandi progetti di deviazione dei corsi d’ acqua pregiudicano la conservazione della Terra nel suo complesso. Per avere un’ idea della posta in gioco, bisogna sapere che se ogni punto del pianeta ricevesse la stessa quantità di precipitazioni, con la stessa frequenza e secondo lo stesso schema, ovunque troveremmo le stesse piante e le stesse specie animali. Il pianeta è fatto di diversità. Il ciclo idrologico dei pianeti è una democrazia dell’ acqua – un sistema di distribuzione al servizio di tutte le specie viventi. Dove non c’ è democrazia dell’acqua, non ci può essere vita democratica. 

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Chi è la Veolià

Chi è la Veolià

La Compagnie Generale des Eaux fu fondata in Francia nel 1853.Negli anni ’90 (del ‘900) fu rinominata Vivendi divenendo un conglomerato attivo nei media e nello spettacolo, che pero’ e’ crollato nel 2002. A questo punto il settore idrico Vivendi Environnement ha ricambiato nome e si chiama ora Veolia.                                   

A partire dagli anni 1950 e fino al 1995 (quando un provvedimento di legge vieta questa prassi) la firma di un contratto è spesso accompagnata da un versamento dell’impresa a favore dell’ente locale: il cosiddetto «droit d’entrée» (diritto d’entrata). Si tratta di decine, e a volte di centinaia di milioni di franchi, che però non vengono stanziati per le esigenze del ciclo idrico, ma alimentano il bilancio generale del comune, per rimpolpare le magre finanze locali o costruire impianti collettivi quali stadi, campi sportivi o piscine: insomma, si fa di tutto fuorché investire nelle risorse idriche. D’altra parte, e visto che la vocazione delle imprese non è la filantropia, a rimborsare quella spesa per tutta la durata del contratto è sempre l’utente, attraverso la bolletta dell’acqua. Così tocca all’ignaro consumatore pagare questo «regalo» elargito alla comunità. Il costo dell’acqua si sostituisce alle imposte locali: una prassi di cui è facile intuire i vantaggi politici per gli eletti (2).
Queste pratiche fondatrici del sistema francese hanno spianato la strada a ogni possibile abuso: opacità, bollette maggiorate, pratiche monopolistiche e così via. La Veolia e la Suez possiedono tuttora una decina di filiali comuni, titolari di contratti con altrettante grandi città francesi, in barba al Consiglio della concorrenza che ne ha chiesto la soppressione fin dal 2002. Per di più, è praticamente impossibile per un ente locale sapere quanti siano i dipendenti di un’azienda privata effettivamente addetti alle mansioni legate a un dato contratto, o accertare la reale entità di certe voci di spesa: ad esempio le «frais de siège» (spese di sede) conteggiate senza una giustificazione precisa; o l’effettivo utilizzo della «provvista di rinnovamento», che teoricamente dovrebbe servire alla manutenzione e al rinnovo delle reti distributive. Le somme in gioco sono dell’ordine di miliardi di euro (si veda l’articolo di Patrtick Coupechoux a pag 14) e centinaia di enti locali faticano, nonostante i loro sforzi, a ottenere informazioni più precise sul loro effettivo utilizzo.
Da una decina d’anni, tutte le inchieste pubbliche rivelano queste pratiche deteriori, che costituiscono una forma di corruzione strutturale: un fenomeno ben più esteso dei casi di arricchimento personale esplosi all’inizio degli anni 1990 (i cosiddetti «affari politico-finanziari», cioè i finanziamenti occulti dei partiti da parte delle imprese).
Una realtà che testimonia di una clamorosa carenza di controlli su un servizio pubblico essenziale. Emerge così la schiacciante responsabilità degli eletti e di tutta la classe politica (3).

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Sorical, terremoto giudiziario

Sorical, terremoto giudiziario

La Finanza ha scoperto un giro di fatture, probabilmente false, tra le società controllate dal socio privato Veolia
Arrestato a Latina l’amministratore delegato Besson
di ADRIANO MOLLO
LATINA – C’è anche il nome dell’amministratore delegato della Sorical, Luigi Raimondo Besson tra le sei ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari disposte dalla Procura di Latina, e firmate ieri mattina dal Gip Tiziana Coccoluto. Si tratta di un’inchiesta condotta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Latina, e coordinata dalla Procura del capoluogo pontino, che cerca di fare luce sulla gestione della società mista Acqualatina i cui componenti del comitato esecutivo da ieri sono tutti ai domiciliari. Nella società il socio privato è Idrolatina i cui azioni sono i francesi Veoila, gli stessi di Sorical. Oltre a Besson, che ha rivestito la carica anche di ex vicepresidente della società e di consigliere d’amministrazione di Acea Ato2, ci sono Paride Martella – presidente della Provincia dal 1994 al 2004 con l’Udc, ex presidente di Acqualatina,poi passato all’Italia dei Valori; Silvano Morandi – attuale amministratore delegato di Acqualatina; Giansandro Rossi – primo amministratore delegato di Acqualatina; Bernard Cynà – amministratore delegato della società successivo a Rossi, in quota Veolia, socio privato di Acqualatina; Luis Marie Ponz – ex consigliere d’amministrazione e rappresentante in Italia di Veolia. Ai sei arresti si aggiungono altre tre misure interdittivedalle cariche sociali e dall’esercizio di attività professionali nel settore dell’ingegneriacivile.LA ACCUSEGli arrestati sono a vario titolo accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato per il conseguimento di erogazioni pubbliche quantificate in cinque milioni e mezzo di euro, falso, falsità ideologica in appalti pubblici, abuso d’ufficio, frode nelle pubbliche forniture. L’inchiesta è partita da verifiche fatte dalla Guardia di Finanza relative ad appalti interni a società dello stesso gruppo per un giro d’affari stimato intorno ai 15 milioni di euro, tra queste, come vedremo, figura anche la Sorical.LE DENUNCELa vicenda legata alla società Acqualatina è stata più volte al centro di denunce e segnalazioni arrivate da Legambiente di Latina che ha presentato i primi esposti nell’agosto del 2002, quando la società si era appena costituita ed amministratore delegato era Giansandro Rossi, uno dei destinatari del provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari. «A quell’epoca – spiega Roberto Lessio, presidente di Legambiente Latina – Rossi era stato segnalato nelle relazioni della commissione parlamentare d’inchiesta relativa al ciclo dei rifiuti. Siamo stati profeti in patria fin dall’inizio. Nell’ottobre scorso ci chiedevamo come mai la sede di Idrolatina, il gruppo che riunisce tutti i soci privati di Acqualatina, era stata trasferita a Torino. Forse, adesso lo sappiamo, il motivo era mettere una certa distanza tra la sede legale della società e le indagini della Guardia di Finanza ». Legambiente aveva segnalato alla Procura anche aspetti legati  all’aggiudicazione della gara ad Acqualatina e chiede di indagare su questo fronte.  Abbiamo seguito in questi anni anche i bilanci societari – continua Lessio – e gli avvisi di garanzia che arrivarono ad aprile del 2004 per i depuratori non funzionanti di Nettuno e Sonnino. E siamo stati fra i primi a segnalare alla Guardia di Finanza anche la vicenda degli appalti in house alla Sorical e alla Siba ». Dal bilancio 2005 – secondo le denunce – risulta che Acqualatina abbia venduto “prestazioni amministrative” alla Sorical per 514 Mila euro. La società Acqualatina è stata anche al centro di una serie di ricorsi presentati al Tar contro le tariffe idriche dal 2004 al 2006. Il coinvolgimento di Besson arriva proprio nel momento in cui sulla Sorical si è aperto una dibattito con la richiesta da parte del  consigliere regionale dell’Udeur di una commissione d’inchiesta per verificare l’operato. Una iniziativa che trova il consenso anche in settori del centrodestra. La Regione Calabria ha affidato a Sorical per 30 anni la gestione degli impianti idrici della Calabria e con l’ultimo bilancio il consiglio regionale ha autorizzato la giunta a concedere un prestito quindicennale di oltre 15 milioni di euro.CHI È BESSONIngegnere d’area DS (Democratici di sinistra), dirigente settore acqua e suolo Regione Lazio, nonché Direttore dipartimento opere Pubbliche e Servizi per il Territorio sotto l’assessorato Meta, giunta Badaloni anni 2000, è stato l’ispiratore della legge regionale sulla gestione idrica (nota come legge Meta-Besson). Consulente dell’Astral, presieduta da Titta Giorgi (DS)., da alcuni anni è l’amministratore delegato della Sorical.Fonte: Il quotidiano della Calabria del 24/01/2008

 

La Sorical ormai in mano ai privati

L’ex personale “sballottato” tra Regione e societàdi EMILIO GRIMALDIIN TUTTE le altre regioni d’Italia il personale del settore idropotabile del dipartimento Lavori pubblici e acque è stato regolamentato ai sensi della legge Galli e assorbito dalle nascenti società pubbliche e private della gestione dell’acqua. In Calabria, invece, l’art 52 della Legge regionale 10 del 1997 non solo non è stato mai soddisfatto dalla Regione ma è diventato a totale discrezione della SoRiCal, società risorse idriche calabresi. Il dipartimento Lavori Pubblici, nelle more dell’articolo mai soddisfatto, con un proprio decreto n. 11729, aveva diramato un elenco dettagliato del personale da inquadrare, anche nella fase di controllo degli interventi, nella SoRiCal «in utilizzo funzionale presso gli uffici e gli impianti sui quali operavano al momento del trasferimento del servizio », recita l’atto pubblicato anche sul Burc. È la Sorical, infatti, che ha fatto pervenire a Giovanni Di Leo, ingegnere idraulico in servizio dal 1981 prima della Cassa per il Mezzogiorno, poi della Regione, il ben servito dalla società che, oggi, gestisce gli  acquedotti fino a quasi tutte le reti idriche comunali calabresi. Il 15 febbraio 2007, con “decorrenza  immediata” è stato rimosso dall’incarico di responsabile della zona di distribuzione di Lamezia Terme e dirottato a Catanzaro dove gli è stato dato come compito di spulciare vecchi progetti della protezione civile degli anni ‘90. Lui che ha anche brevettato un algoritmo che suona così: “modello per la gestione dei sistemi acquedottistici”, e che ha presentato anche a Bologna in un seminario internazionale sulla gestione dell’acqua pubblica nel 1995. E che ha utilizzato ampiamente, prima a Cosenza, poi a Lamezia negli anni 2001/07, facendo risparmiare alla Regione Calabria, solo in questi ultimi sette anni, circa due milioni di euro di energia elettrica. Ma, a quanto pare, non hanno bisogno di lui perché quelli che prima, durante la gestione della Regione, erano considerati “cottimi”, ora sono stati convertiti in “investimenti” con un aggravio di spesa per l’ente intermedio del 10 per cento. La stessa percentuale su cui viaggia la tariffa a metro cubo fissata dalla Regione, che è sia il maggior azionista della società che l’Ente controllore. «Una volta seguivamo la procedura degli intereventi in “cottimi” e che includevano lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria ed elettrici, ora invece, è cambiato tutto, i lavori di manutenzione straordinaria, tipo anche solo di sostituzione di una tubazione, sono degli “investimenti”, con l’aumento di spesa per la Regione di circa il 10 per cento ». Ma tutta la partita che sta giocando la SoRiCal contro i cittadini è persa a tavolino, per questi ultimi. È una Spa che chiama i sindaci e le Amministrazioni: “clienti”; che chiama gli acquedotti: “siti di produzione”, quando, invece, replica l’ingegnere, «l’acqua non viene prodotta, è una risorsa che ci da madre natura, i Comuni, poi, non sono clienti ma fruitori di un servizio e primi attori della Pubblica amministrazione ». Dopo lo scandalo dei 25 dipendenti della Regione, al momento della passaggio della gestione alla Sorical, che sono usciti dalla finestra con un prepensionamento anticipato che si aggirava sulle 4 annualità, e che sono rientrati dalla porta perché la Sorical si serve “della memoria storica del personale della Regione”, si legge nel sito, per gli altri la resistenza  all’interno del distacco regionale è dura, molti hanno chiesto il trasferimento al Genio Civile, altri, invece, stano battendo i piedi per continuare a lavorare. A fare quello che facevano prima: controllo e gestione degli acquedotti. Invece fanno tutt’altro. Addetti al personale, alla visione di progetti vecchi, ma sugli impianti, quelli no, ci sono già quelli della Sorical. Fra la Regione e la SoRiCal, per surrogare la mancanza di una legge che regolarizzi finalmente il personale, si sta instaurando, invece, un rapporto epistolare ordinario in cui si “chiedono” di avvalersi dell’opera di questo o di quell’impiegato. La Società si sta prodigando pure di riscuotere il mastodontico debito che i Comuni hanno nei confronti della Regione e che ammonta a 500 milioni di euro, fino al 2004. Un debito che tutto il personale che ha lavorato per la Regione, e per la Cassa per il Mezzogiorno prima, sente suo, non della nuova arrivata. A proposito Giovanni Di Leo propone, in virtù della sua visione del diritto all’approvvigionamento idrico per tutti i cittadini, «perché non viene estinto a fronte del rifacimento delle reti idriche comunali?». E mentre la gente comune va a comprarsi l’acqua minerale anche per cucinare e per le prime necessità igieniche, perché l’acqua che arriva nelle case non è più potabile, l’amministratore delegato  Raimondo Besson della Sorical riceve uno stipendio pari a sei mila euro al mese, non disdegnando di prendere l’aereo, pagato dai contribuenti, per andare a Roma e svolgere gli altri suoi impegni istituzionali. Fonti vicine alla Procura fanno sapere, a bassa voce, che sul tavolo della scrivania di Luigi De Magistris, a cavallo del clamore suscitato per la richiesta di trasferimento del ministro della Giustizia Clemente Mastella, vi era anche un corposo fascicolo di denunce e di richieste di chiarimenti, che avevano come comune denominatore proprio la SoRiCal.Fonte: Il Quotidiano di Calabria del 26/11/2007 

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